Su richiesta
All’interno delle organizzazioni troviamo un immenso patrimonio di diversità, rappresentato dalle persone che ne fanno parte.
La capacità di valorizzare e non di appiattire il contributo delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani, di chi possiede competenze e culture diverse è quella che nel contesto futuro può consentire il reale balzo in avanti per un’azienda. Oltre a garantire il crearsi di un clima di reciproco scambio e di collaborazione che incoraggia le persone a restare e a crescere.
Il Diversity Management nasce negli USA agli inizi degli anni Novanta; la parola chiave è inclusione, che allarga il concetto di integrazione.
Distinguiamo due macro-categorie di differenze: le “diversità primarie” e le “diversità secondarie”. Le prime sono quelle differenze che fanno riferimento ad elementi quali l’età, il genere, l’origine etnica, le competenze/caratteristiche mentali che fanno parte di un patrimonio innato dell’individuo e che non possono essere modificate.
Le diversità secondarie, invece, fanno riferimento ad elementi acquisiti nel tempo come, ad esempio, il background educativo, la situazione familiare, la localizzazione geografica, il reddito, la religione, il ruolo organizzativo, l’esperienza professionale. A differenza delle diversità primarie, queste caratteristiche possono essere modificate più volte o abbandonate nel corso del tempo.
Gestire le risorse umane secondo la prospettiva del Diversity Management significa avere la possibilità di utilizzare le differenze come strumenti per la crescita dell’azienda e dei gruppi di lavoro.